Contratto di noleggio a caldo: locazione o appalto?
- 07/06/2019
- // Normativa
Cerchiamo di spiegare la differenza sostanziale fra due attività che sembrano simili ma non lo sono
E’ noto che il termine “noleggio” comunemente utilizzato sia un’espressione atecnica e stia ad indicare l’operazione economica di concedere in godimento un bene mobile ad un soggetto dietro il pagamento di un corrispettivo detto canone. La situazione di fatto corrisponde in tutto e per tutto al contratto di locazione (in particolare di beni mobili) regolato dagli articoli 1571 e seguenti del Codice Civile. L’obbligazione in capo al locatore è evidentemente un’obbligazione di dare in senso tecnico, attraverso la concessione in godimento del bene ad un terzo che ne diviene detentore. A questo obbligo di dare però possono accompagnarsi attività accessorie e servizi forniti al cliente, quali la manovra del bene nel caso in cui questo sia un macchinario, l’installazione di macchinari o strutture statiche, ecc… La domanda a cui si vuole dare risposta è: in che modo queste attività collaterali influiscono sulla qualificazione giuridica del rapporto di noleggio? Passiamo a definire l’appalto.
Per quello che rileva in questa sede, il contratto di appalto, regolato dagli articoli 1655 e seguenti del Codice Civile, è così definito: “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro”. Le caratteristiche essenziali di questa figura sono quindi che un soggetto, di regola un imprenditore, assume l’obbligazione di
realizzare un’opera complessa o fornire un servizio ad un altro soggetto dietro il pagamento di una somma di denaro. L’appaltatore si è detto essere, di regola, un imprenditore proprio perché l’espressione “organizzazione di mezzi necessari e gestione a proprio rischio” individua due delle caratteristiche fondamentali dell’attività d’impresa: organizzare un insieme di beni (tecnicamente detta azienda) con la finalità di realizzare un’attività economica e assumere su di sé il rischio d’impresa. E tale rischio deve essere correttamente inteso come impossibilità di prevedere con assoluta certezza il rapporto che sussisterà tra costi e ricavi al termine dell’esercizio dell’attività stessa.
Tornando all’oggetto dell’indagine, è evidente che l’obbligazione prevista nel contratto di appalto sia un’obbligazione di fare qualcosa, obbligazione di “facere” in senso tecnico. E questa è la differenza fondamentale tra le due fattispecie contrattuali. Nel primo caso si ha un impegno a dare qualcosa, nel secondo caso si ha l’impegno a fare qualcosa.
I problemi sorgono quando il semplice contratto di noleggio contiene al suo interno anche delle obbligazioni accessorie rispetto a quella fondamentale della concessione in godimento del bene. Mi riferisco al caso del c.d. “noleggio a caldo”, ovvero il noleggio ad esempio di un macchinario concesso in uso al cliente completo di operatore, generalmente un preposto del noleggiatore, il cui compito è quello manovrare il bene al fine di consentirne l’utilizzo e quindi il godimento. Tale attività complementare però non vale a modificare la qualificazione giuridica del rapporto.
Infatti la Corte di Cassazione con alcune pronunce tutte coerenti nella stessa direzione (Cass. Civ. 20 luglio 1977 n. 3249, Cass Civ. 29 agosto 1997 n. 8248) individua nettamente il confine tra locazione ed appalto affermando che: “... il contratto con il quale si concede una macchina in godimento, per un certo tempo e dietro determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione, per assumere quelli dell’appalto, per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidati ad un dipendente del concedente, ove ciò non comporti alcuna ingerenza nell’utilizzazione del bene che rimane a disposizione dell’altra parte perché se ne serva per i propri fini con ampia discrezionalità di iniziativa”. Ed ancora “… le prestazioni inerenti al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura del concedente con propria organizzazione ed a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio e strumentale rispetto al godimento del bene che resta l’oggetto principale del contratto”. Dal tenore letterale della pronuncia si può desumere che fino a quando l’attività del preposto del noleggiatore mantiene la caratteristica di
accessorietà rispetto all’obbligazione principale di concedere in godimento un bene, si resta nell’alveo della locazione. Quando la prestazione di fare diventa dominante rispetto alla concessione in godimento del bene, si entra all’interno della fattispecie dell’appalto. Spesso
però tale distinzione nella pratica è tutt’altro che agevole. E’ importante infine considerare che purtroppo a nulla rileva la qualificazione giuridica che le
parti danno al rapporto, il c.d. “nomen iuris”. Il giudice in sede di analisi per il caso di controversia, qualificherà il rapporto come riterrà più opportuno, a nulla rilevando l’intento delle parti. Se riterrà quindi che il rapporto sia sostanzialmente una locazione od un appalto, procederà con l’applicare liberamente le regole dell’una o dell’altra fattispecie.